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La Cassazione sul rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione a seguito dell'inadempimento del datore di lavoro |
L'abstract | L'art. 1460, comma 1, c.c. | Buona fede e giudizio di proporzionalità | La gravità dell'inadempimento | L'eccezione di inadempimento nel rapporto di lavoro | La persona del lavoratore nel giudizio di proporzionalità | Conclusioni | Guida all'approfondimento |
Nel rapporto di lavoro l'eccezione di inadempimento, come strumento di autotutela privata, ha visto scontrarsi due orientamenti giurisprudenziali: l'uno tendente a ritenere che, a seguito di un inadempimento datoriale sostanziatosi nello straripamento dai limiti di legittimo esercizio dei propri poteri direttivi, sia giustificato il rifiuto del lavoratore allo svolgimento della propria prestazione; l'altro, invece, incline ad escludere la legittimità di un aprioristico rifiuto, focalizzandosi sul giudizio di proporzionalità della reazione, ex art. 1460, comma 2, c.c. Con la sentenza n. 11408 del 2018 la Corte di cassazione tenta di fornire una soluzione unica, affermando che l'eccezione, rectius il rifiuto, del lavoratore non è automaticamente giustificato dall'inadempimento del datore di lavoro, essendo impreteribile il vaglio della non contrarietà a buona fede dell'exceptio inadimpleti contractus.
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